Milano

 
                                                                                                                        
 
Assunto dall'editore Garzanti, nel '53 Parise si trasferisce a Milano:

Quando partii dalla provincia diretto a Milano avevo in tasca i soldi che mio padre mi consegnò per l'acquisto di un impermeabile buono per l'umidità e in mano una valigetta di cartone color pece legata con uno spago. Portavo allora un grosso cappotto nerastro lungo sino ai piedi e un cappelluccio nero, morbido e sformato, di quelli che si usano per l'abito da sera.
In valigia avevo inoltre una casacca nera, di tipo russo, che indossavo segretamente in omaggio a Dostoevskij
Trovai lavoro presso un grande editore, subito mi installai in una cameretta nei pressi di corso Genova e ogni mattina, per andare in ufficio, salivo sul filobus numero 87 che segue la cerchia dei Navigli, per quel tratto stupendi, pregni di una rara e ormai distrutta bellezza ottocentesca; costeggiavo le rovine dell'Ospedale, le lunghe file di archi del chiostro, aperti e sbracciati contro il cielo grigio e la neve cadente, via Santa Sofia ancora invasa da macerie, su fino a via Senato, dove scendevo per andare al lavoro. Mi pareva di scoprire una città simile a Vienna o a Praga, una città del Nord, che saliva dalle brume del mattino alla mia immaginazione come in un racconto di Hoffmann. Ero, insomma, abbastanza felice di aver messo la testa a posto come tanto speravano i miei genitori e di stare a Milano. Ma alla sera, alle sei e mezzo, aspra e maligna si abbatteva su di me la malinconia di quelle ore di vuoto, di tristezza, di solitudine. Spesso mangiavo alle sette, correvo a casa e leggevo, alcune volte giravo per i negozi pensando a quello che mi sarebbe piaciuto comprare di utile per l'inverno; altre volte immaginavo di scrivere un bel romanzo, che soddisfacesse me prima di ogni altro, poi i miei amici e infine un editore.1

La nostalgia del suo Veneto e la solitudine lo riportano spesso a Vicenza ed ora scopre i libri di Comisso. 
Ne resta affascinato e gli scrive:

Egregio Signore, mi permetto di esprimerle tutta la mia ammirazione per il suo libro "Le stagioni" che con mia grande vergogna leggo solo ora. Io sono di Vicenza, Lei conosce molti miei amici; e io non l'ho mai conosciuta. Ciò mi dispiace, e, quando capiterà l'occasione ci terrò molto.
E appunto perché sono veneto, e mezzo veneziano, sino in fondo all'anima, ho ammirato e amato quelle stupende pagine del suo libro: che, a una a una, senza intervalli, senza "soste", son venete, piene di profumi, di entusiasmo:di quell'entusiasmo che oggi, purtroppo,tra i giovani non c'è più. La ringrazio veramente di quelle pagine, che mi fanno credere come la letteratura italiana possa essere ancora così viva, "sana", e piena di fascino, con i migliori saluti, Goffredo Parise.2

Fra i due nasce un'amicizia che durerà tutta la vita e sarà proprio Comisso ad introdurlo nel mondo letterario con chiara intuizione del nuovo talento:

Ogni apparizione di un nuovo scrittore o di una nuova opera di chi già ha rinomanza, devono essere salutati con gioia da noi scrittori, come preziose pietre portate a consistente difesa dell'arte, in questa epoca, in cui troppo spesso sembra dover naufragare nel vuoto mentale. E se non apparissero, sarebbe come per i campioni sportivi, non avere altri campioni con i quali competere in gara.
Il nuovo scrittore che presento è Goffredo Parise, di venticinque anni, da Vicenza, autore di due libri: "Il ragazzo morto e le comete" e "La grande vacanza", editi da Neri Pozza e di un terzo: "Il prete bello", uscito di recente da Garzanti.
Secondo il mio convincimento, Goffredo Parise, appartiene alla grande tradizione della narrativa veneta che dai primi diaristi e dagli ambasciatori di Venezia scende a Gasparo Gozzi a Carlo Goldoni e a Casanova, fino a Ugo Foscolo, a Ippolito Nievo e a Fogazzaro. Noi veneti forse per la lontana discendenza dal sangue greco o per contrasto alla pacata apparenza del paesaggio della nostra terra, siamo fortemente portati alla testimonianza e alla chiacchiera. Chiacchiera che, raffinata nelle relazioni degli ambasciatori davanti al Senato, al ritorno dalle loro ambascerie, o nelle conversazioni nei salotti patrizi del Settecento, si tramutò, nel secolo scorso, seguendo la moda del romanzo europeo, in narrativa romanzesca. Non è una tradizione che in questi ultimi anni abbia dato segno di spegnersi, ma anzi di accrescersi con nuovi contributi, come quello importantissimo di Guido Piovene, della stessa terra di Fogazzaro, e di altri come Quarantotti Gambini, Elio Bartolini, da quella di Nievo, e Giuseppe Berto.
Il mio incontro con Goffredo Parise, avvenne con la precisa coincidenza di una fatalità che testimonia la piccolezza del mondo e l'obbligo dei percorsi. Di questo giovane scrittore, posso dire che per me era: l'atteso.3
 
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A Milano, nel '54, nasce il capolavoro di Parise, Il Prete bello, uno dei successi di pubblico più clamorosi del dopoguerra, che nel '65 conterà già dieci edizioni italiane e tredici traduzioni all'estero. 
Eppure il libro è accolto inizialmente senza troppi consensi dalla critica.
Parise lo pubblica presso l'editore Garzanti dopo il rifiuto di Leo Longanesi, che così motivava:

...intuivo che, presto o tardi, Lei avrebbe finito per scrivere le parole che figurano nei risvolti di copertina del Suo libro "Il prete bello": "L'A. ha trascorso l'infanzia di cortile in cortile, di vicolo in vicolo, con piccoli mendicanti, figli di ladri; di prostitute, di povera gente".
Ebbene, a me, caro Parise, questi discorsi non piacciono; perché se Lei avesse davvero vissuto tra "figli di prostitute e di ladri" non verrebbe a dircelo. E se ora ce lo spiattella a grandi lettere, è segno che Lei su queste miserie ci specula un po' per farsi notare, perché non tutti hanno avuto una infanzia alla Gorki, tanto colorita.
E non per moralismo La rimprovero, ma soltanto perché questi precedenti veristici hanno un solo guaio: che sono di moda. O meglio sono stati di moda fino a pochi anni fa. E Lei è un po' in ritardo: dopo "Fame" di Knut Hamsun, dopo tutte le squallide infanzie dei best seller americani, Lei, caro Parise, coi suoi amici 'figli di ladri" ci fa la figura del provinciale. Perché queste Sue note biografiche Lei le ha dettate a testa alta, col segreto pensiero di far colpo; Lei ha creduto di collocarsi all'avanguardia, mentre è finito nel retroguardia, accanto a De Amicis e Paolo Valera. Resta poi il fatto, caro giovane amico, che in questi tempi di misticismo il Suo prete seduttore a me piace moltissimo e non intendo affatto condannarlo. Mi creda Suo Leo Longanesi.4

Sul "Resto del Carlino" del 5 ottobre 1957 Parise racconta come è nato questo romanzo:

"Avevo pubblicato già due romanzi [Il ragazzo morto e le comete e La grande vacanza] n.d.r., essi avevano ottenuto un buon successo di critica ma pochi li conoscevano ed erano introvabili.
Volevo dunque scrivere un altro romanzo che mi tenesse compagnia durante l'inverno milanese, che mi divertisse, che mi commuovesse quel tanto da cacciare il freddo e la solitudine: un romanzo con molti personaggi allegri e sopra ogni altra cosa un romanzo estivo che mi facesse un poco caldo"5

Ambientato nella provincia veneta durante gli anni del fascismo, nel libro non c'è però molto caldo, ma piuttosto un calor freddo che si sprigiona dalle movimentate vicende private e cittadine, ruotanti intorno al "prete bello", Don Gastone Caoduro, alto, giovane, elegante, oggetto di attenzioni e pulsioni mistico-sessuali, ammantate di perbenismo tipicamente provinciale. 
Il romanzo è percorso da quella che Emilio Cecchi definì sul Corriere della Sera "... una vena di angosciosa poesia, un dono verbale agile e impetuoso". 
Personaggi e luoghi, scrive in prefazione Parise:

...sono frutto dell'immaginazione di un ragazzo di strada. Qualunque riferimento alla realtà è puramente casuale

Ma quel ragazzo di strada, Sergio, è l'alter ego dell'autore, una voce narrante che fa da filtro alla miseria materiale e morale che lo circonda, restituendo la leggerezza e l'innocenza della gioventù alla putrefazione di un mondo picaresco, caleidoscopico, in più di una scena anticipatore di tante ambientazioni felliniane.
 
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 La provincia è protagonista anche delle due opere successive, che completano la cosiddetta "trilogia veneta": Il fidanzamento del '56 e Atti impuri del '59, pubblicato la prima volta col titolo di Amore e fervore. 
Parise definirà quest'ultimo :

...un ritratto tra grottesco e lugubre della bigotteria italiana. Molta poesia non c'è. Ma c'è irrisione, beffa, e anche analisi di una putrefazione educativa del sottomondo cattolico. Insomma, uno scenario in cui la cultura non appare nemmeno lontana come la luna.6

Era il 1955. 
A 25 anni Il Prete bello è stato, per Parise, la laurea di narratore di successo che gli aperto le porte del giornalismo.
Il 15 gennaio 1955 debutta sul Corriere d'Informazione, nella rubrica settimanale il "Racconto del Sabato" , dove avevano scritto Palazzeschi, Buzzati, Soldati, Pratolini, Campanile, Flaiano.
Ma Parise vuol fare giornalismo dal vivo e Afeltra, allora direttore, lo manda a Parigi.
Il primo dei 15 articoli inviati alla redazione cominciava così:

Sono un provinciale, non ho mai viaggiato ed ora eccomi a Parigi...

Comincia da qui la sua collaborazione con il Corriere della Sera e Parigi è la prima tappa di una lunga serie di viaggi che lo porteranno alla scoperta del mondo.
 
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LA CASA SUI COLLI BERICI

Vicenza - Casa sul Colle dei 4 ventiQuesta svolta della sua vita e i proventi dei primi successi editoriali gli permettono di costruire, nel '55, la sua prima vera casa a Vicenza, sui colli Berici:

Il tetto della mia casa ora scintillava sui Berici simile ad un aereo abbattuto o ad un grande uccello sconosciuto giunto dalla Siberia e posatosi per riposare sul Colle dei Sette venti"7

In questa casa Parise risiede ben poco:

"...Sul "Colle dei Sette venti" vive ancora, o sopravvive, o forse è sepolta, non lo so, tutta la mia infanzia..."8

Nel '57 Parise sposa Maria Costanza Speroni, Mariola, una ragazza di Vicenza, e la porta con sè a Milano. 
Suo testimone di nozze è lo scrittore Giovanni Comisso.
A Milano Parise resta fino alla fine degli anni '50, poi si trasferisce a Roma.



1 - da "Incontro con Longanesi", in "Il Resto del Carlino", 5 ottobre 1957
2 - da una lettera a Giovanni Comisso, Milano 24 marzo 1954
3 - da "Comisso presenta il giovane Parise. S. Pellegrino Terme luglio 1954", in  Venetica, n. 5, gennaio‑giugno 1986
4 - dalla lettera riportata da Parise nell'articolo Incontro con Longanesi, in  Il Resto del Carlino, 5 ottobre 1957
5 - ibid.
6 - da una lettera al direttore editoriale dell'Einaudi, 1973
7 - da La capanna sull'albero, in Corriere d'Informazione 21-22 settembre 1957
8 - ibid.